A una settimana da quel giorno, ricevemmo la telefonata dello stallone. Risposi io. Nell'attesa che mia moglie finisse di armeggiare in un'altra stanza, io e il tipo demmo vita ad una conversazione quasi surreale: parlammo della mia lei come se fossimo due vecchi amici che si scambiano le rispettive opinioni su una puttana scopata da entrambi; finimmo per darci comicamente, io a lui, del "cazzone" e, lui a me, del "cornutone". S'era instaurata una strana intesa telefonica. Non m'accorsi della presenza della troia. Mi tolse il cordless dalle mani e ironicamente ci accusò d'essere in combutta alle sue spalle. Li lasciai soli. Dopo un quarto d'ora mi raggiunse: poiché non aveva accettato d'andare al privé, quella sera stessa "eravamo" invitati a casa d'un amico dello stallone. Usò il plurale e non era un "maiestatis".
Giungemmo verso le ventuno all'indirizzo indicatoci. Cancello, telecamera, apertura automatica, giardino con lungo viale alberato, villa e che villa! Villa in puro stile liberty con accenni al neoromanico e al neogotico, un po' dark. Tre piani da farla assomigliare più ad un castelletto che ad una villa; ad ognuno dei quattro angoli, delle alte torri cilindriche con copertura a cono. Parcheggiate nello spiazzo antistante la scalinata d'ingresso, alcune autovetture di grossa cilindrata. Un aitante maggiordomo di colore ci fece accomodare in un salone riccamente adornato con fregi floreali e affrescato con licenziose scene mitologiche. Tutti uomini tranne mia moglie e una vichinga del genere top model. Come richiesto eravamo ingessati in abiti da sera. Mia moglie con un vestito lungo nero, aderentissimo e scollatissimo sia davanti che dietro, munito d'uno spacco laterale molto generoso che permetteva d'intravvedere il bordo dell'autoreggente scura, con scarpine di vernice nera sostenute da tacchi da dieci centimetri. Non portava biancheria intima. Il vestito aderente metteva in mostra le sue tette perfette da quarta misura, oltremodo sode ed erette. La vichinga, di poco più alta della mia consorte, indossava un laminato lungo altrettanto aderente, con una particolarità: la scollatura sul davanti era tale che i larghi seni stavano totalmente scoperti, con un anello applicato a ciascun capezzolo e sul dietro i glutei erano scoperti fin quasi a metà. Occhi azzurri, uno sguardo glaciale, labbra sottili ma ben disegnate e capelli biondo platino, con frangia, lunghi sino alle spalle e taglio all'egiziana, forse una parrucca. Il tutto messo in risalto da un'abbronzatura particolarmente intensa. Sei uomini e due donne.
Dal salone passammo alla altrettanto spaziosa sala da pranzo. Il servizio era effettuato da due giovanissime cameriere coperte solo da un grembiulino che a malapena nascondeva i seni e la zona pubica; entrambe portavano sandaletti col tacco altissimo e autoreggenti color fumè. Sia io che la mia lei, notammo che una aveva le chiappe segnate da due tre sottili striscie violacee un po' gonfie: «Sembrano frustate.» Mormorammo quasi all'unisono. «Staffilate, staffilate.» Corresse il commensale alla mia destra. «Niente di meglio che un buon staffile per istruire la servitù!» Aggiunse il padrone di casa. Come tutti gli uomini presenti, doveva essere tra i quaranta e i cinquant'anni, alto, fisico atletico, capelli molto corti. Aveva, però, l'espressione più inquietante di tutti; uno sguardo cattivo accentuato da una bocca leggermente storta che, quando parlava, pareva fare una smorfia. Non si mangiò molto e si bevve ancor meno. La conversazione fu alquanto laconica; mi sentivo come un pesce fuor d'acqua. Ogni tanto mi distraevo osservando la mano dell'amico di mia moglie, seduto accanto a lei, che le palpava, favorito dall'ampio spacco, le cosce o, andando più su, titillava o infilava le dita nella figa. Lei socchiudeva gli occhi e portava la testa all'indietro fremendo. Tali manovre e atteggiamenti non potevano passare inosservati al resto dei commensali che, però, parevano disinteressarsi alla cosa. Al mio cazzo invece piaceva e interessava, eccome! Non potè passare inosservato il gesto con cui, dopo che lui le sussurrò qualcosa all'orecchio, lei estrasse entrambi i grossi seni abbassando lo scollo, rimanendo così per tutta la cena. Ora era come la simil top model; a parte gli sguardi compiaciuti e quello mio di sorpresa, non vi fu alcun commento. Accortasi della protuberanza in corrispondenza della mia patta, diede una palpatina facendomi, da puttana monella, l'occhiolino.
La cena non fu granché come numero di portate, ottima la qualità. Pochissimi i beveraggi alcoolici, molta l'acqua. Dopo il dessert e qualche caffè, si accesero sigarette e sigari ma nessuno si alzò dall'ampio tavolo rotondo. Ricomparvero le due camerierine. Credetti che venissero a sparecchiare, invece lestamente s'infilarono sotto il tavolo. Con una mano appoggiata sul collo di mia moglie, il cazzone l'invitò a imitare la servitù. Senza opporre alcuna resistenza, la vidi scomparire di sotto degnandomi di un fuggevole sguardo porcino. Poco dopo da alcune espressioni facciali e da rumori inequivocabili, mi si fugarono tutti i dubbi. I beneficiari al momento erano il tipo alla mia destra, la vichinga e un signore di fronte che, dopo pochi minuti, incitando con un «Sì, succhia troia, succhia tutto, adesso ti sborro in gola», cedette per primo all'orgasmo. Toccò poi al padrone di casa. Lo vidi allungare un braccio sotto la tovaglia, non capivo cosa stesse facendo. Poi sentii un lamento, un “ahi!” ripetuto più volte e sempre più acuto. Non capivo se fosse la voce di mia moglie o d'una delle cameriere. Il cazzo mi si stava gonfiando ancora di più. «Basta! Ahiii!!! Aaagh!!!» L'implorazione era troppo acuta per poter riconoscere la voce. Lui ghignava sadicamente, con una smorfia diabolica esclamò: «È un capezzolo turgidissimo. Glielo sto torcendo e tirando così tanto che potrebbe staccarsi!» A quelle parole seguirono sorrisi eccitati. Durò qualche minuto. Nel frattempo la top model ebbe un orgasmo. Il padrone stese le gambe; mollò finalmente la presa permettendo di farsi sbocchinare. Dopo mezzora tutti erano stati soddisfatti, tutti tranne il sottoscritto. Mia moglie ricomparve con il viso infuocato e stravolto. Il rossetto sbafato. La parte superiore dell'abito arricciata in vita. Poiché mi stava dando di spalle, non potei notare lo stato dei capezzoli. Parlottava col suo cazzone e ignorava deliberatamente il suo cornutone. Mi sentivo sempre più messo da parte, in particolare da lei. La rabbia montava. Stavo pensando di togliere il disturbo e di fargliela pagare successivamente in qualche modo, quando l'antipatica voce imperiosa del padrone di casa, nel frattempo ritiratosi in una stanza attigua, mi chiamò.
Nello studio eravamo solo io, la vichinga e il boss. «Veniamo al sodo: lei è stato invitato soltanto per assistere a quanto faremo a sua moglie. La signora è ormai di “proprietà” di un altro; è stata lei stessa ad accettare senza alcuna forzatura questo passaggio di consegne che, di fatto, la priva d'ogni diritto. Lei sarà marito solo di nome e non potrà accampare alcunché nei suoi confronti. Secondo le volontà del suo padrone, potrà, come questa sera, assistere nei modi e per il tempo che noi decideremo; altre volte sarà escluso totalmente e spesso la sua ormai ex-moglie si assenterà per diversi giorni. Tenga presente che la sua ex ha accettato tutte le regole della schiavitù, compreso l'esser ceduta temporaneamente a terzi, non escludendo una cessione definitiva. Nel caso ciò si verificasse, potrebbe non rivederla più, per sempre. Immagino che abbia capito il ruolo della schiava: è essenzialmente un oggetto di piacere e serve per soddisfare i piaceri più perversi.» Stavo per saltargli al collo - lo volevo strozzare, andare di là e portar via la “mia” donna dalle grinfie di quei farabutti – quando un dolore lancinante al fondoschiena, simile ad una rasoiata, mi fece trasalire. Mi voltai lacrimando: la vichinga teneva in mano, facendolo vibrare, un frustino da equitazione. Mi tastai dietro: i pantaloni erano come sforbiciati, sentivo la pelle della coscia. «Inginocchiati verme!» Lo sguardo della femmina era terribile. «Non osare ribellarti o ti cacceremo a pedate fuori di qui. Non rivedresti più quella troia bocchinara. Non capisci, deficiente, che ti stiamo dando l'opportunità di assaporare, sebbene di riflesso, un po' del nostro piacere? L'alternativa è il niente, il rimpianto, la solitudine.» Mi sentivo deriso e umiliato, privo, improvvisamente, di volontà. Mi inginocchiai a testa bassa di fronte ai due. «Adesso spogliati completamente» comandò la donna «e attendi genuflesso che qualcuno venga a prelevarti. Non pensare di uscire dallo studio da solo.» Mi tolsi tutto. Sogghignando la valchiria mi solleticò il pene con la punta del frustino; uscì seguita dal padrone di casa. Aspettai per un tempo che mi parve interminabile. Forse un'ora, forse due.
La porta s'aprì di scatto e comparve il maggiordomo di colore. Non portava la divisa. Era completamente nudo tranne per un cinghiolo di cuoio borchiato che gli adornava la base del cazzo enorme, una proboscide che in erezione doveva essere mostruosa sia per lunghezza che per diametro, e i coglioni grossi come palle da biliardo. Mi agguantò e mi legò saldamente i polsi dietro la schiena. Poi mi sistemò un cappio al collo con una lunga corda; tenendomi al guinzaglio, fece cenno di rimettermi in piedi e di seguirlo. Tutte le stanze che attraversammo ora erano illuminate fiocamente da luci verdognole di sicurezza. La temperatura s'era abbassata, forse era quella la causa del mio tremore. Sentivo come un buco allo stomaco. Imboccammo un corridoio, oltrepassammo una stretta porta e scendemmo per una ripida vecchia scala di pietra: mano a mano che si scendeva, l'umidità aumentava; ancora un corridoio e, in fondo, la luce rossastra del fuoco delle torce; voci, rumori e grida. Le grida divenivano sempre più la colonna sonora di quell'incubo. Mi fermò davanti ad un portone di ferro semiaperto. Dalla posizione in cui mi trovavo, non vedevo granché tranne una parete di pietra e delle ombre in movimento. Se non potevo vedere potevo, però, udire. Urla disperate e grida che insultavano ferocemente, ora accavallandosi ora, in attimi di pausa, che permettevano di recepire chiaramente implorazioni di pietà e minacce paurose, turpiloquio e bestemmie: «Pietààà. No! Nooo!!! Bastaaa!!! Infilagli il tubo di ferro nel culo a 'sta troia. Troiaaa. Mangiacazzi. Aaagh! Aaaaaagh!!! Sciaf sciaf sciaf. Le tette, le tette. Prendi le pinze! Ormai te l'abbiamo sfondato, vacca. Sciaf sciaf. Nooo!!! Porciii! Aiuuutooo!!! Ahhh, no, lì nooo, aaagh.» Era una camera di tortura vera e propria. Non era come nei pochi video che avevo noleggiato e visto su internet dove si giocava al sadomaso. Qua si comportavano come dei boia. E mia moglie era oltre quella porta. Mio dio! Non avevo riconosciuto la sua voce. Tendevo l'orecchio ma le urla non avevano alcun timbro. Il negro fece un cenno di assenso a qualcuno oltre la porta e mi trascinò dentro. Credo che le camere di tortura dell'inquisizione siano state come questa, forse meno terrificanti. L'ambiente era una caverna naturale ma successivamente modellata e rifinita con colonne di pietra e lignee, grosse architravi dai quali pendevano ganci e carrucole. Alle pareti torce, anelli e catene. Intorno tavolacci, bracieri, una poltrona da barbiere e due ginecologiche, un paio di cavalletti tipici delle torture medievali, un sediolone di legno con cinghie, come una sedia elettrica, su tavolini, su scansie fruste di ogni tipo, lunghe corte, gatti a nove code, flagelli, manganelli di gomma, falli enormi di legno e caucciù, tubi di ferro e acciaio di vario diametro, corde, tante corde, tenaglie e ferri arroventati nei bracieri e ..., e ... Appesa con catene per i polsi, pendente da una trave, le gambe tenute divaricate da una robusta sbarra di ferro, bloccata a delle cavigliere di altrettanto robusto cuoio, a cui erano state applicate delle grosse palle di ferro pesantissime, una giovane donna col corpo segnato da decine di frustate, con due grossi falli, fissati tramite cinghioli, che le dilatavano enormemente l'ano e la vagina, piagnucolava e implorava, quasi senza voce, pietà. Era molto bella. Alta e snella ma con un rotondo culetto sodo. I capelli rossi, il viso coperto di efelidi, gli occhi socchiusi e lacrimanti. Non era una delle cameriere. Spettacolo terribile ma ... estremamente eccitante. Il mio cazzo ormai tradiva ciò che provavo. La voce improvvisa e imperiosa del padrone, alle mie spalle, mi risvegliò dallo stato contemplativo. Mi girai e finalmente misi meglio a fuoco la scena. Cinque uomini nudi, fisici atletici, palestrati, con cazzi ragguardevoli stavano accanto alle loro vittime. Oltre alla donna appesa, ve n'erano altre due; la terza, la modella, inguainata in un body di latex, bucato in corrispondenza del pube e dei seni, a gambe divaricate, ricoperte sino al ginocchio da aderentissimi stivali appuntiti di cuoio nero, con tacchi vertiginosi, si masturbava lentamente con la cappella d'un grosso fallo di ebano nero. Una donna, di circa trentanni, mora, curvilinea, fianchi pronunciati, grandi tette, bocca carnosa, col trucco che le colava, per il pianto, sulle gote, era fissata con cinghie ad una croce di sant'andrea; la seconda stava alla gogna, piegata a novanta gradi con la testa e i polsi bloccati, le gambe divaricate e fissate con cavigliere di cuoio ad anelli posti nel pavimento di pietra. Non poteva udire né vedere poiché aveva testa e viso ricoperti da una specie di passamontagna di cuoio o latex nero. L'unico pertugio era in corrispondenza della bocca occupata, però, dal cazzo d'uno dei cinque che la scopava fino alla laringe. La saliva le colava abbondantemente e si capiva che era preda di continui conati di vomito oltre che da senso di asfissia. Da dietro un altro la stava o inculando o scopando nella figa. Ai capezzoli erano state applicate delle pinze a coccodrillo i cui denti accuminati le foravano la pelle; dalle pinze pendevano delle catenelle alle cui estremità erano stati fissati dei grossi pesi. Dovevano essere tali dato che le tette erano ben tirate verso il basso. Mi accorsi che lo stesso trattamento era stato riservato alle labbra vaginali, tese, coi pesi, in maniera assurda. Quello dietro, allora, di sicuro la inculava. La solita voce volle precisare: «A questa troia» indicando la gogna «abbiamo sfondato il culo con un tubo di ferro» e mi indicò un tubo “innocenti” da ponteggi «visto che non voleva farsi scopare da Ercole.» Diressi lo sguardo nella direzione indicatami: in un angolo ecco Ercole, un cane alano nero grosso più d'un vitello. «La troia c'ha rimesso una bella e soddisfacente scopata col nostro Ercole; in cambio di cosa? Dello sfondamento del culo, ora ha lo sfintere sfibrato. Per non perdere merda dovrà andare in giro con un tappo nel culo. In compenso potrà farsi inculare e godere dei cazzi enormi. Anche più di uno contemporaneamente. Vieni qui Mustafà.» Il negro lo aveva già in tiro ed era impressionante. Trenta centimetri abbondanti di lunghezza, un diametro di dieci ma con la cappella ancora più grossa. Prese il posto dell'inculatore, anche quello ben dotato ma quasi nella norma, e infilò tutta la tavella nel culo della poveretta senza alcuna difficoltà. Lei ebbe un leggero sussulto ma poi parve accettare tutta quella carne dura nel retto. Effettivamete sul pavimento c'era una chiazza scura. Sangue rappreso e ... feci. «Avere con noi un esimio chirurgo», indicò quello con l'espressione sadica più accentuata, «è una vera fortuna. Con un apposito spray le ha anestetizzato l'ano. Quando passerà l'effetto la ricovereremo per qualche giorno nella sua clinica per sistemarla al meglio. Sai, qui siamo un po' ... Grezzi. Tra poco la mettiamo a “riposare” su un tavolo con il cazzo di Mustafà stavolta a sfondarle la figa, il mio nel culo.» Aveva la schiena segnata dai colpi di frusta, anche le tette evidenziavano come delle striature violacee. «Arrivare a domani mattina e si ritroverà con le tette pendule – pensa, erano così erette –, con la figa pure sfondata e così allargata che per godere dovrà farsi riempire da tre quattro cazzi alla volta. Sarà una figa talmente slabbrata, da vera troia, che con le labbra ci si potrà soffiare il naso. Ah aha ah.» Rideva il porco. «Ti stai chiedendo dov'è la tua ex-moglie? Come vedi il suo padrone si sta dando da fare con la crocefissa.» In effetti il cazzone stava staffilando le tette della donna fissata alla croce. La tipa implorava di smettere. Sotto i colpi più duri, sembrava guaire. Mi parve che un capezzolo fosse quasi saltato via. Il cazzone sì smetteva ma per fotterla violentemente. Il mio cazzo era diventato di marmo. Fui spinto verso la valchiria. Mi agguantò per l'uccello e mi tirò giù la pelle tendendomi dolorosamente il prepuzio. Stavo in piedi di fronte a lei seduta. Cominciò a parlare e, ogni tanto, a prendere in bocca il glande, a stringermi forte le palle, a leccarmi l'asta: «Sei un depravato anche tu. Ti ecciti a vedere come trattiamo queste troie. Mmmh, slurp ... Scommetto che ti stai chiedendo dove sia la troia con la quale sei venuto stasera. Bene, mmmh, tra un po' potrai sentire quello che le faranno, ho detto sentire, non vedere, mmmh ..., slurp ... Io potrò vedere ma tu potrai solo immaginare e sono sicuro che ti piacerà da morire, ti sborrerai addosso senza che tu o altri ti tocchino! Senti, mmmh, hai le palle così gonfie di sborra. Non potrai vedere perchè mi dovrai leccare e se non ubbidirai, se ti volterai, ti farò inculare da Mustafà e da Ercole. Mmmh, non sei male porco. Vuoi essere mio schiavo? Pensaci. Non potrai mai fottermi ma ti potrò far provare sensazioni incredibili. Non fotterai più con nessuna, dimenticati di quella troia, ma godrai più di prima. Vivrete forse ancora nella stessa casa ma non potrete nemmeno toccarvi se non sarete da noi autorizzati.» Con le mani sempre legate dietro la schiena, mi inginocchiai e cominciai a leccare quella figa meravigliosa. Era bagnatissima e i succhi m'inondavano la bocca. Ebbi da subito il viso fradicio ma stavo bevendo un elisir. Con la lingua picchiettavo il clitoride che sporgeva duro, poi succhiavo e picchiettavo ancora.
Leccavo dentro e fuori le piccole labbra per poi abbassarmi, con lei che sporgeva il culo, fino a lambire la rosetta dell'ano. V'infilavo la lingua e sentivo l'amarognolo della merda. Tornavo alla figa che penetravo per quanto potevo. Intanto cominciai a sentire delle urla. Era la voce di mia moglie. «Noo, bastaaa, oddio, no, noooooo!!! Aaaaaaaaaaaarrrgh!!!» «Troia, adesso ti perforiamo col ferro rovente anche le altre labbra. Mustafà, infilale la tua manina nel culo e poi ruotala chiudendola a pugno.» «O nooo, argh, aaagh, pie ... pietàààaaarrrgh. Mi sento la mano nella pancia. Mi uccide ..., mi ..., orgh, aaah» «Ah, ti piace adesso troia, ti piace sentirti piena eh? Dillo che sei una troia in calore. Urlalo, grandissima vacca!» «Mmmh, sììì, mi piace, sono una troia, una TROIAAA!!! Nooo, aspettate, noooooo, basta buchi, nooo, il ferro nooo, aaaaaaaaargh!!!»«Dottore, adesso bucale i capezzoli e infiliamole gli anelli anche lì. Prima frustale ancora le tette, sì, così, da sotto.» Sciaf sciaf sciaf, «Basta, vi prego, padroni vi prego, ahiaaa!!!» Avevo il cazzo così duro che dolorava. La biondo platino era già stata scossa da due orgasmi e si gustava quanto stavano facendo a mia moglie. Le urla più acute, le suppliche erano sempre quelle della forse non più mia donna, meno distinte quelle delle altre due troie.«No, Mustafà, ti prego, non chiavarmi, aaargh, nooo, nella figa il tuo nooo. Mi rompi, oddio me la rompiii!!! Aiutatemi, mi sta aprendooohrgh! O-o-o-ddio!!! No, padrone, aaargh, anche il suo nel culo, nooo!!!» La voce del padrone di casa: «Mentre io l'inculo e Mustafà le sfonda la figa, dottore forale i capezzoli. Dai, adesso, siii, bellissimo, guarda che fumo; lento, vai lento così soffre di più 'sta sfondata di una vacca. Ehi, non riesce più a chiudere lo sfintere anche se ha una paura fottuta. Il mio cazzo ci balla in 'sto buco di merda!» «Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrrrrrrrrgh!!! Tet ..., tetta, no, ba-ba-basta, uiiiiiiiiiiiih, ahiiiiiiiii!!! Nooo, anche l'altro nooo!!! UUUUUUAAAAAAHIIIIIIAAAAAAAAARGH!!!» «Guarda come sta bene con gli anelli alla figa e ai capezzoli. Fai un attimo vedere al cornuto com'è bella 'sta troiona.» Sentii la mano afferrarmi i capelli e costringermi a guardare. Lo spettacolo era eccitantissimo: su un tavolaccio mia moglie stava sopra al negro che la chiavava, teneva il sedere in fuori e l'altro la inculava. Erano a circa tre metri alle mie spalle. Potevo vedere gli anelli ai capezzoli e intravvedere quelli alla figa, forse un paio per labbro. Il viso stravolto. Dai segni sulle tette e sul resto del corpo realizzai che era lei la donna alla gogna. La stavano fottendo in tutti i buchi. Me l'avevano sfondata davanti e dietro. «Troia, guarda come s'è eccitato il cornuto a sentirti urlare e a vederti fottuta. Digli qualcosa, dai!» «Amore, mi hanno aperta tutta. Aaagh, mmmh, mi hanno riempita di sborra. Aaagh, comincio a godere, sììì, amore mi piace, sono una maiala, una porca, mmmmmmgh, sto venendo, dai, sfondatemi, ..., aaah, sìììììì, ancoraaa, godooo, sììì, pisciami nel culo, sìììììì, vengoooooo!!!» La mano mi voltò il capo e ripresi a leccare con foga. La scena appena vista era di una forza dirompente. Il cazzo mi pulsava. Sentii ribollirmi i coglioni e salire il liquido. Sborrai abbondantemente ma senza smettere di leccare. La top model venne nuovamente. Avevo sborrato anche sui suoi stivali e mi costrinse a pulirli con la lingua.Alle sette del mattino stavo a casa, da solo. Lei era rimasta nelle loro mani. Per fortuna essendo domenica, non dovevo recarmi al lavoro. Verso le undici mi telefonò. Era in una clinica in una città a un centinaio di chilometri. Mi rassicurò sullo stato di salute, mi disse che sarebbe tornata tra due tre giorni, forse, e riattaccò. Dopo un'ora ricevetti una telefonata del cazzone. Voleva sapere come stavo, rassicurarmi ancora sullo stato di salute della consorte e se accettavo le proposte della valchiria. Come ultima notizia: aveva “ceduto”, quasi fosse un pacco, un oggetto, mia moglie, per me continuava ad esserlo, al padrone della villa in cambio delle altre due schiave. Gli risposi soltanto che avrei preferito parlare personalmente con la bionda. Mangiai in fretta e mi fiondai a letto. Ero esausto ma non riuscivo a prender sonno. Intorno alle venti squillò il telefono. Era la sadica biondo platino: «Voglio sapere cos'hai deciso testa di cazzo, allora ...» «Vaffanculo stronza! Ho deciso di romperti il culo appena ti vedo, porca sifilitica, e ingozzarti di sborra da sborratoio vivente qual sei!» L'avevo freddata. Mi immaginava come un povero coglione sottomesso e si ritrovava con un gentil signore dal forbito linguaggio.«Però, che personcina fine ti stai rivelando! A parte il farmi il culo e il riempirmi di sborra, allora che proposte avanzeresti? T'avverto, non ho l'indole della sottomessa, sono lontana anni luce dall'essere come quella troia che ben conosci! Lingua d'oro, fammi venire ancora come sai far tu! Eh eh!» «Allora: primo, se mia moglie sarà la vostra schiava, voglio partecipare essenzialmente guardando ma non da succube. Secondo: rimango in possesso dei diritti coniugali elementari, ovvero me la scopo quando e come voglio. Terzo: assaggerai la mia lingua, potrei anche farti da scendiletto, obbedire ai tuoi comandi ma mi concederai i tuoi buchi e ti farai riempire.» «Forse si può fare ma il padrone, prima che tu possa prendermi, vorrà qualcos'altro in cambio. Ti richiamo.» Un'ora dopo. «Accetta, ad una condizione: vuole il tuo culo e che lo spompini, questo non una tantum ma quando ne avrà voglia; la cosa potrebbe accadere con tua moglie presente o mentre mi scopi o in presenza di terze persone.» «Ci sto.» «Però, sei veramente un porco cornuto e frocio, eh eh. Ci sentiremo presto, leccafighe!»
Passarono quattro giorni. Quando aprii la porta, vidi mia moglie ancor più bella. Ci abbracciammo e baciammo senza parlare. Passato l'attimo di emozione, le chiesi di spogliarsi. Rimase con le autoreggenti soltanto. I segni della frusta erano scomparsi, rimanevano solo alcune tracce sotto un seno, vicino al pube. Aveva due anelli ad ogni grande labbro della vagina, in totale quattro, e un anello per capezzolo. «Hanno detto che serviranno per fissare delle catenelle con i pesi. Per appendermi addirittura. Per agganciarmi ad un'altra schiava. M'hanno avvertita che posso scopare ancora con te e che, se lo vorrai, potrai assistere alle “sedute”, servire durante gli incontri e scopare con la padrona, in cambio dovrai divenire, pure tu, un loro sborratoio.» «Voltati, mostrami il culo.» Si voltò e si inchinò: uno strano coperchio le occludeva l'orifizio anale. Tirai. Era come un grosso tampone. Lo spettacolo aveva del terrificante. Il buco del culo misurava almeno sette otto centimetri di larghezza. Lo sfintere, sfibrato, non poteva più richiuderlo inoltre, non provando più lo stimolo defecatorio, rischiava di perdere pezzi di merda senza accorgesene. L'unico sistema consisteva nell'occludere il buco e, ogni tanto, ricordarsi di togliere il tappo ed evacuare. Le infilai tre dita nella figa, c'era spazio per l'intera mano. Mugugnò di piacere mentre rigiravo le dita. Ormai era una vera troia sempre in calore. Mi abbassai i pantaloni e le mutande, le infilzai la figa slabbrata da dietro; il mio uccello ora faceva un po' fatica a sentire le pareti vaginali; le chiesi di provare a stringere. Sì, così andava meglio. Cominciai a pomparla subito con foga. Tirai gli anelli ai capezzoli e per tutta risposta sentii le pareti vaginali stringere ulteriormente il cazzo. Le sussurravo all'orecchio parole sconcissime e le descrivevo immaginarie scene dove soddisfaceva le voglie di uomini e donne depravati. Un'infinità di umori le colava lungo le cosce. Le torsi i seni, tirai i capezzoli stringendoli. Borbottava dal dolore e dal piacere. Venimmo all'unisono insultandoci con epiteti irripetibili alternati a parole dolcissime.